I murales come forma di denuncia dei mali secolari della Sardegna

In un nostro recente articolo abbiamo parlato dell’artista Pinuccio Sciola ed accennato al movimento del muralismo, che l’artista stesso introdusse in Sardegna, e precisamente a San Sperate, suo paese d’origine, nel 1968.

San Sperate è un piccolo comune in provincia di Cagliari conosciuto in particolare per la sua recente storia, fatta di sculture, di pietre sonore e, appunto, per i famosi murales di San Sperate, più che per la sua storia antica. Nonostante il paese goda di un passato importante, con un antico centro storico e numerosi ritrovamenti che testimoniano possibili insediamenti già nel XVIII secolo a.C., è per le più recenti opere d’arte sparse per tutto il paese che San Sperate è conosciuto ed ammirato da tutti.

La storia dei murales di San Sperate

Nel 1968 grazie ai lavori intrapresi da Sciola, nato e vissuto a San Sperate, il paese riceve la nomina di “Paese-Museo”. Un vero e proprio museo a cielo aperto, gratuito e sempre a disposizione dei visitatori che decidono di passeggiare tra le sue vie per scoprire e ammirare le opere nascoste in ogni angolo del paese.

Il percorso dell’artista era iniziato nel 1966, imbiancando i muri delle case del paese per poi a ridipingerle rappresentando scene di vita quotidiana e della tradizione contadina.

In seguito furono invitati artisti nazionali e internazionali, più o meno rinomati, a decorare con le proprie opere i muri dal paese.

Grazie a questa iniziativa passeggiare nel paese oggi è una meraviglia.

I murales di San Sperate sono conosciuti e studiati come delle vere e proprie opere d’arte, che si mescolano perfettamente con le tradizioni del borgo, con le sculture e i monumenti che contribuiscono a rendere il paese semplicemente unico.

Parliamo di almeno 400 opere, realizzate con diverse tecniche, dai colori impermeabili, ai graffiti a numerose tecniche miste.

Il significato celato dei murales

Fin dalla loro prima apparizione, i murales diventano un mezzo a disposizione di artisti e popolazione per trasmettere una vera e propria resistenza culturale e politica.

Ad Orgosolo nel ’68, ad esempio, il “Circo­lo di Orgosolo” organiz­za una mobilitazione contro il proget­to dello Stato italiano di trasformare 366.000 et­tari di bosco e pascoli in “Parco Na­zionale del Gennargentu”; la popolazione condanna la logica da riserva indiana che anima il disegno.

Negli anni successivi, altre forme di protesta prendono forma per salvaguardare la cultura e il territorio sardo, e dai manifesti per queste lotte nascono le idee per i murales.

I murales di Pasquale Buesca denun­ciano i mali secolari che affliggono l’isola: la siccità che colpisce gli animali ed i pascoli, la galera e l’emigrazione.

Una poesia ancora accompagna la pittura:

Torneremo tutti insieme un giorno
500.000 urla come un sol urlo,
squarceranno il muto cielo della Sardegna.

Altri murales commemorano figure eroi­che della resistenza sarda: lo scono­sciuto rivoluzionario G.M. Angioy che capeggiò un esercito di pastori e contadini in marcia da Sassari verso le guarnigioni di Cagliari (1796) e che morì esule a Parigi. Diversi mu­rales ricordano la prestigiosa figura di Lussu, padre del sardismo e pro­pugnatore dell’autonomia dell’isola. I murales che decorano la parete la­terale della biblioteca d’Orgosolo di­segnano Lussu tra i suoi contadini con alle spalle la bandiera sardista dei quattro mori.

Una serie dipinta da Francesco del Casino ed ancora dagli allievi della scuola media ricordano il calvario della Brigata Sassari nella Ia guerra mondiale, la fondazione del movimento sardista, la militanza so­cialista ed il telegramma che Lussu spedì alla popolazione di Orgosolo per la lotta di Pratobello.

Da Orgosolo, altro centro di diffu­sione, i murales si espandono a tutta la Barbagia.

La Barbagia è ancor oggi la parte più selvaggia e sconosciuta della Sardegna.

La cultura barbaricina conserva l’istituzione della grande famiglia pastorale s’erreu, autosuffi­ciente, con a capo su mannu, il padre anziano che amministra i beni e diri­ge il lavoro. La pastorizia è l’occupa­zione da cui è dipesa per secoli la sopravvivenza dei barbaricini.

Da poco sono comparsi anche murales femministi: tra questi quello in corso Repubblica, ad Orgosolo dove la scritta: “Donne unite per l’emanci­pazione e la liberazione e una parità reale nella famiglia e nel mondo del lavoro” è unita al ricordo del lontano 8 marzo 1908 in cui morirono a New York molte donne rinchiuse in fabbri­ca. Le donne sarde rifiutano su ziu il marito scelto dalle famiglie ed i modi di obbedienza e di dipendenza all’interno della famiglia.

Nell’Ogliastra e nel Campidano si aggiungono tema­tiche sardiste: la pittura racconta la violenza degli insediamenti industriali “corpi anomali, castelli di salvez­za, presto trasformati in bubboni in­fetti, che ammorbano la vita del pae­se” (Ottana, Sarroch).

Raccontano la violenza dell’acculturazione della scuola italiana che ha sempre accolto con la presunzione della supremazia culturale il mondo di conoscenza del pastore, le sue espressioni musicali, la sua poesia e la sua lingua.

La scuola imposta ai sardi, mentre abbonda di studi sui maggiori e mino­ri poeti ed artisti italiani, non ci fa conoscere quasi nulla della geografia fisica ed economica della nostra Iso­la e così pure ci lascia nella totale ignoranza della nostra storia. Nelle università sarde mancano cattedre di lingua e letteratura sarda.

Al desiderio di rinsaldare la propria cultura si affianca la denuncia contro il mare di cemento dei paradisi di plastica dei villaggi turistici costieri, le montagne di rifiuti e scarichi delle industrie, gli incendi dolosi per estor­cere licenze edilizie su terreni tutela­ti, frettolosi rimboschimenti con va­rietà esotiche (cedri del Libano, pini australiani) che creano ambienti arti­ficiosi ed ibridi.

Il pittore di Carbo­nia. Gigi Taras, ha dipinto sui muri del mercato di Terralba (Oristano) il dramma di una ipotetica esplosione nucleare (in Sardegna esistono una ventina di basi N.A.T.O. con i relati­vi depositi di munizioni, carburanti, arsenali e batterie).

Ci dice:

Il mu­rale cerca di sintetizzare e simboli­camente denuncia l’atteggiamento passivo della nostra gente nei con­fronti delle varie forme di colonizza­zione via via imposte dall’esterno… il ritratto di una società resa passiva ri­spetto alle scelte del potere. Una di tali scelte è rappresentata appunto dal reattore nucleare che può esplo­dere e determinare morte e distruzio­ne.

I murales entrano anche nel mondo della scuola, con la sensibilizzazione degli insegnanti di educazione artistica, con l’istituzione di corsi di aggiorna­mento, con l’incontro dei pittori con gli alunni.

Fonti:

I murales sardi

Rivista “Ajò”- Anno I/n° 1 marzo 1980

Relazione al pubblico dibattito di Baunici 14/5/1969

Da: “Fikide-Est arveskendhe…”/Frantene pros’indhipendhentzia de sa Sardinia-Bennarzu 1979

Intervista per “Sa republica sarda”

“Su populu sardu”- istiu 1979

Ed ora, dopo avervi raccontato la storia del muralesimo sardo, entrati nel dettaglio del significato dei murales e della loro funzione di denuncia dei mali della nostra bellissima terra, oltre che di racconto delle tradizioni e della vita del nostro popolo, che ne dite di un Tour in questi paesi museo?!